La Societa´ Popolare di Mutuo Soccorso Giuseppe Garibaldi di Lucca
organizza per domenica 9 marzo 2014 ore 17,00 la presentazione del libro di Aldo Agosti "Il Partito Provvisorio" sul PSIUP.
Ne parleremo con i protagonisti lucchesi di quegli anni.A seguire cena sociale.
Sinossi del libro tratto da un
articolo di Angelo d´Orsi
da Liberazione
Lo storico Aldo Agosti ricostruisce la vicenda di chi cercò da sinistra di smarcarsi dall'egemonia comunista

I risultati congressuali segnarono una drammatica cesura nel PSI. La scissione ne fu dunque il facile esito finale, che giunse puntuale, eppure non per “colpa” della sinistra, che in fondo cercò di non rompere: furono proprio gli “autonomisti” a volerla. E lo stesso PCI coerente con la linea pregressa, tentò di contribuire a evitarla, come del resto i sovietici. La scissione nondimeno si rivelò “un fenomeno più consistente di quel che molti si aspettino” (p. 55). A ll’inizio del ’64 gli iscritti sono oltre 117 mila, un paio di mesi dopo superano i 131 mila. Numerosi sono i quadri dirigenti, dai parlamentari ai sindaci, ai segretari di CdL e dirigenti sindacali (a cominciare da Foa, segretario generale dell CGIL). Non aderisce Raniero Panzieri, ma non pochi dei lettori dei Quaderni Rossi e suoi collaboratori. Anzi, come ricordano testimoni, nel PSIUP si respirava molta teoria forgiata proprio in quel laboratorio. Malgrado i tanti nomi intellettuali il PSIUP non fu una riedizione del Partito d’Azione! Eppure furono molti gli intellettuali nelle sue fila, e come gli azionisti i “psiuppini” erano degli “estremisti”. Tuttavia non si trattò di un partito intellettuale, ma di un vero partito proletario: di proletari urbani ma anche rurali, anzi secondo Agosti questo influì sulla linea “massimalista”del Partito. La questione dei finanziamenti è la più spinosa e l’autore l’affronta senza reticenze. Il Psiup soffrì di un assurdo gigantismo: il partito voleva, consapevolmente o meno, seguire il modello PSI-PCI senza averne la forza e i mezzi: inevitabile l’abbraccio con Mosca, donde discende anche la cambiale pagata nell’agosto ’68 con l’ambiguo allineamento sull’invasione della Cecoslovacchia, rispetto alla quale il giudizio comunista fu invece assai più critico. Agosti non nasconde nulla, anzi! Ma respinge le etichette in uso allora e ancora oggi spesso riprodotte di partito del KGB! Egli valorizza i distinguo in campo internazionale, per esempio sulla Cina, verso la quale i psiuppini furono assai più aperti dei comunisti, addirittura ponendosi come velleitario mediatore tra URSS e Cina; ma a un certo punto, quando il culto di Mao assunse proporzioni inquietanti, e l’animosità cinese verso l’URSS sembrò superare il livello di guardia, voltarono le spalle alla Repubblica Popolare Cinese; e non solo, come osserva giustamente Agosti, per la questione dei finanziamenti da Mosca. Del resto fecero analogo dietro front verso Cuba, quando Fidel e i suoi si posero in testa di esportare la rivoluzione. E là di finanziamenti non ce n’erano.Rimase, sempre, il PSIUP fedele a un rinnovato interesse di politica estera, anche se in modo incoerente, e sovente contraddittorio: ma, mi pare, meritevole fu la volontà di ritagliarsi uno spazio anzi proprio nel rilancio dell’internazionalismo proletario. Era in realtà uno strano eterogeneo miscuglio di intellettualismo ed estremismo, attento alle rivolte, alle jacqueries, diffidente, come solo sanno essere gli intellettuali verso ogni forma di elaborazione critica di tipo intellettuale. Dunque diffidenza verso Marcuse, verso Pasolini, letterato e cineasta, e disinteresse per Gramsci, probabilmente giudicato come troppo intrinseco al PCI: dal PCI occorreva smarcarsi, in effetti, per sopravvivere, ma era una gara allora improba. Eppure Mondo Nuovo, il settimanale del Partito, fu voce interessante e ricca nel panorama dei periodici della sinistra, con notevole spazio alla cultura (Agosti insiste sulle critiche cinematografiche di Adelio Ferrero, ad esempio). Sul ‘68 fu il PSIUP non solo più vicino, rispetto al PCI, ma assai intrinseco al movimento studentesco, cercando di esserne parte e guida. Del resto non pochi dirigenti della contestazione venivano da quelle file, o vi entrarono. Ma il ‘68 fu anche l’anno di Praga. E lì, come già accennato, emersero le contraddizioni, le incertezze, le ambiguità messe in luce da Agosti. Ma era sempre un gioco di equilibri, difficilissimo; tra Cina e Russia, tra PCI e PSI, tra intellettuali e masse (una quota non irrilevante ebbe proprio il PSIUP come riferimento negli anni fino al ‘68/70) , tra proletariato urbano e mondo rurale, tra Terzo Mondo e Europa. Il terzomondismo fu una delle caratteristiche anzi dei “psiuppini”; ma poi non mancarono i distinguo, e le prese di distanza. La mesta fine del Partito, nel ‘1972, dopo la catastrofe elettorale (sua ma della sinistra in generale) in un vortice di scissioni, confluenze, nuove separazioni, segnò il venir meno di un soggetto minore ma ricco di capacità di intercettare umori e sentimenti che né il PCI né il PSI furono in grado di cogliere tra la seconda metà dei Sessanta e l’inizio dei Settanta. Forse aveva ragione la dirigente del PCI Adriana Seroni quando, sprezzante, affermò che quelli del PSIUP portavano “lo spirito del frazionismo nelle ossa” (p. 278), ma si trattava di una liquidazione sommaria che ha avuto finora un riscontro storiografico, con una svalutazione radicale della funzione di quel “partito inopportuno” (la formula è dello stesso Agosti, che di quel partito fu militante). L’umiliazione dei dirigenti psiuppini da parte delle gerarchie comuniste trovano nel rapporto con Libertini il loro punto più alto (o basso), mostrando una notevole insensibilità politica, a cui in fondo questo libro pone un rimedio, sia pure sul piano storiografico. Certo, si trattò della storia di un fallimento, se vogliamo, ma anche per questa ragione appare, io credo, una storia di particolare interesse, da cui qualcosa, v’è da sperare, si potrebbe imparare per non ricadere nei vecchi schemi, e non rifare gli eterni errori. Ma è da temere che sia una speranza vana… Anche se non si può neppure accettare che il solo criterio da utilizzare in politica sia quello dell’efficacia e dunque del successo di una linea politica. Il PSIUP, partito provvisorio, fu uno dei tanti lieviti che fecondarono la società e la politica italiana del tempo. E tra le cose buone (poche) che sono rimaste in campo, qualche briciola discende anche di là.
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