lunedì 29 settembre 2014

Presentazione del Libro "Cafiero" di Pier Carlo Masini

Domenica 28 settembre 2014 ore 17,30 presentazione del libro "Cafiero" di Pier Carlo Masini presso la Libreria Baroni in Piazza San Frediano 26 a Lucca.A seguire cena sociale presso il Circolo Arci di Sant'Alessio.

Uscita per la casa editrice pisana  BFS  BIBLIOTECA FRANCO SERANTINI l’edizione riveduta e ampliata dall’autore prima della sua scomparsa, del Cafiero di Pier Carlo Masini, la biografia di uno dei più importanti rivoluzionari italiani. SI parla di storia del movimento operaio, anarchismo e Prima Internazionale.
Carlo Cafiero (1846-1892) occupa un posto centrale nella storia del movimento operaio italiano, per essere stato nel 1872 tra i principali ispiratori e organizzatori della prima Conferenza della branca italiana dell’Internazionale (Rimini, 1872).
Fiduciario di Friedrich Engels e Karl Marx, nonché primo divulgatore in Italia de Il Capitale, dopo la rottura con i due Cafiero diventa amico di Mihail A. Bakunin ed è promotore, insieme ad altri, del tentativo insurrezionale della Banda del Matese nel 1877.
La vita pubblica di Carlo Cafiero si compie esattamente nell’arco di dodici anni, quanti ne corrono fra gli sviluppi internazionalisti seguiti alla caduta della Comune di Parigi (1871) sino a quando Andrea Costa – amico di Cafiero e a sua volta tra i principali esponenti dell’Internazionale in Italia – con la sua lettera Agli amici di Romagna (1879) abbandona le file dell’insurrezionalismo antiautoritario e si prepara a entrare nel Parlamento italiano (1882) come primo deputato socialista.
La vita di Cafiero, spesa nell’appassionata, intransigente, disperata, ma vana ricerca del “sol dell’avvenire”, si chiude, infine, con la tragedia della follia.
Il libro che Pier Carlo Masini ha dedicato a Cafiero – che ora viene presentato in una nuova edizione rivista e ampliata dall’autore prima della sua scomparsa – può essere considerato la migliore biografia dell’internazionalista pugliese uscita finora e, nel contempo, rappresenta l’opera nella quale si riassume e si esalta la vicenda umana e intellettuale del suo autore.
Note sull’autore
Pier Carlo Masini (1923-1998) è stato uno dei maggiori storici del movimento operaio, socialista e libertario in Italia nel Secondo dopoguerra. Ha collaborato a riviste come «Movimento operaio», «Rivista storica del socialismo», «Critica sociale» ed è stato tra i fondatori della «Rivista storica dell’anarchismo». Tra le sue opere principali: Storia degli anarchici da Bakunin a Malatesta (1969), Eresie dell’Ottocento: alle sorgenti laiche, umaniste e libertarie della democrazia italiana (1978), I leaders del movimento anarchico (1980), Storia degli anarchici italiani nell’epoca degli attentati (1981).
Da "La Spezia oggi"

venerdì 27 giugno 2014

Diritti Umani,Civili e del Lavoro

Con la partecipazione della Societa' Popolare di Mutuo Soccorso Giuseppe Garibaldi l'incontro su: "Diritti Umani,Civili e del Lavoro".Venerdi 27 giugno 2014 ore 17,30 Sala Maria Luisa Palazzo della Provincia di Lucca.Interventi di Ilaria Cucchi,Cira Antignano,Danierla Rombi.

giovedì 12 giugno 2014

Il sol dell'Avvenire il libro di Valerio Evangelisti

Giovedì 12 giugno alle 17,30 presso i locali del Palazzo Ducale la presentazione del libro "Il Sole dell'Avvenire" di Valerio Evangelisti.
Il socialismo nell'ultimo quarto del secolo XIX era pervaso dallo slancio garibaldino e il grande freddo delle strutture socialdemocratiche e terzinternazionaliste non aveva preso ancora il sopravvento. In questo contesto storico, il nuovo romanzo di Valerio Evangelisti, Il Sole dell'Avvenire(Mondadori, 530 pp., € 17,50) affronta le vicissitudini di una famiglia popolare romagnola. Tuttavia, mentre le pagine scorrono velocissime, ci accorgiamo che il libro contiene anche una grande quantità di virus di ordine psicologico, sociologico e politico. L'esperienza della lettura produce così una grande quantità di riflessioni e di interrogativi.

Nonostante alcune vicende si svolgano a Bologna, nell'agro romano e in Grecia, l'ambientazione dominante è romagnola (Ravenna, Imola, Forlì, Cesena). Questa regione vide fiorire e prosperare le più disparate correnti sovversive, dal repubblicanesimo mazziniano (che al tempo issava la bandiera rossa), all'anarchismo, fino al Partito socialista rivoluzionario. Questa formazione sui generis, fondata da Andrea Costa – il primo socialista a essere eletto nel parlamento postunitario – aveva una struttura antigerarchica e obiettivi simili a quelli degli anarchici, ma non escludeva la partecipazione alle elezioni. Anzi, sull'esempio della Comune di Parigi puntava a impossessarsi dei municipi per introdurre misure socialiste e sferrare l'attacco contro lo stato centrale.

Attilio, Rosa e Canzio, i personaggi principali del romanzo, sono povera gente il cui modo di vivere e di pensare ci è restituito con grande empatia, ma senza retorica e vittimismo. Reduce garibaldino, eterno precario, incline al consumo eccessivo di alcol, amante della poesia dalla rima facile, Attilio è scettico nei confronti dei socialisti: “Non mi fido dei vostri ideali. In teoria li trovo abbastanza giusti, anche se non capisco bene questa cosa dell'abolizione della proprietà privata. Per la repubblica, che è un ideale chiaro, la rivoluzione la farei anche. Solo che voi tentate ogni tanto delle rivoluzioncelle che falliscono regolarmente. Occupate un municipio qui, uno là. Proclamate l'abolizione dello Stato, poi ve ne andate”. Suo malgrado il corso degli eventi lo porta sempre sulla soglia della “presa di coscienza”, consentendogli più volte di vedere il mondo con occhi e sentimenti nuovi. In lui si accumula un potenziale di frustrazione, di rabbia e di dolore che esplode in un'onda d'urto liberatoria: dopo esser stato picchiato dai poliziotti nel corso di una manifestazione, in mezzo alle bandiere rivoluzionarie rossonere, ai braccianti e agli operai, anche lui finisce per alzare il pugno al cielo gridando “Sì, viva il socialismo, boia d'un mond léder”. È la descrizione bella e commovente di una svolta gestaltica, del clic coscienziale che sperimenta chi s'innamora, chi fa una scoperta scientifica o chi capisce che un altro mondo è possibile. Perfino Rosa che, figlia di mezzadri, è più incline al pragmatismo e al rispetto dell'ordine costituito, è spinta alla ribellione dai soprusi subiti in una filanda. Un giorno, come per una reazione naturale, anche lei alza il pugno in aria e urla “Sciopero!”.

Evangelisti costruisce una fenomenologia della coscienza di classe, drammatica e articolata. La psicologia dei protagonisti è una materia elastica, tesa fino a raggiungere il punto di rottura e poi rilasciata per produrre un contraccolpo gnoseologico sovversivo. Quando Attilio e Rosa gridano la loro rabbia negano le angherie dei poliziotti, la miseria delle baracche fatiscenti, i malanni delle paludi, la fame e il freddo dell'inverno. In quel momento, contestano le gerarchie e acquisiscono la dignità umana del ribelle. Diverso è il discorso per il loro figlio Canzio. Avendo cristallizzato la fluida coscienza sociale dei propri genitori, egli è già schierato, sa che la società è ingiusta. Lui non si muove sul limite, anzi è incline alle semplificazioni. 

Collegato al tema dell'autorappresentazione sociale vi è quello della composizione di classe. L'umanità descritta nel Sole dell'Avvenire è costituita, da una parte, da braccianti, barcaioli, artigiani, scariolanti, pescatori di frodo, garzoni di stalla, disoccupati, seggiolai, vuotapozzi, e dall'altra, dalle figure ibride della mezzadria. La descrizione di questi soggetti sociali è basata sugli studi condotti dallo stesso autore nella Storia del Partito Socialista di Romagna 1881-1893 (scritto insieme a Emanuela Zucchini nel 1981 e recentemente ripubblicato per Odoya, 320 pp., € 20,00).

Sul finire dell'Ottocento la mezzadria veniva progressivamente espropriata dei suoi piccoli privilegi e sussunta al capitalismo agrario. La mentalità dei mezzadri era sostanzialmente provinciale e reazionaria, legata alla terra e alla famiglia. Di contro, il bracciante e il precario postrisorgimentale di Romagna erano spesso critici nei confronti della famiglia e della religione, esibivano una profonda disaffezione verso il lavoro e una pronunciata politicizzazione. Uno di questi soggetti, Giosuè, fratello di Rosa, afferma: “I contadini sono isolati, vivono chiusi nella loro famiglia, sono costretti all'ossequio verso il padrone. I braccianti no. Quando c'è lavoro, lo fanno in squadra, vivono assieme, si aiutano... Ci si sostiene, i bambini sono di tutti, le donne danno una mano anche nelle altre case. Non rimpiango per niente la prigione della mezzadria”.

Le separazioni familiari, le storie di emigrazione, di disoccupazione e povertà s'intersecano con le forme di una socialità alternativa, prodotta dalla composizione di classe del tempo e del luogo. Molto interessante è il caso delle “cameracce”. Create originariamente dal partito repubblicano, permettevano agli operai di bere e mangiare a prezzi economici o di avere un luogo d'incontro dove farsi una partita a carte dopo il lavoro. Non è casuale che un personaggio del libro veda in questi capannoni l'embrione della società futura. Più di recente, qualcosa di simile accadde negli anni Novanta dello scorso secolo, quando in alcuni dibattiti di movimento i centri sociali furono considerati, forse troppo ottimisticamente, possibili strumenti della ricomposizione di classe in epoca postfordista. Attilio e Rosa non fanno mai parte integrante di questo tipo di controsocietà e forse proprio per questo sono capaci di comunicarcela con una perplessità più adeguata ai nostri tempi: “Fatevi spiegare da Giosuè il significato della parola 'compagno'. Per noi socialisti rivoluzionari ha un senso tutto particolare”, risponde un calzolaio a Rosa che lo ringrazia per aver aiutato suo fratello ferito e ricercato dalla polizia.

I socialisti rivoluzionari organizzavano passeggiate per andare a trovare i soci delle altre sezioni, allestivano i banchetti fraterni per rinsaldare rapporti personali e di domenica andavano in gita nel circondario per conoscere gente nuova e fondare sezioni del partito. Intervenivano per combattere il colera mediante azioni di prevenzione e si aiutavano l'un l'altro come chi si sente parte di uno stesso destino. Lo stupore di Attilio e di Rosa di fronte a tale realtà è anche il nostro, ovvero di chi come noi vive in una società nella quale il processo d'individualizzazione si è spinto molto avanti rispetto alla fine dell'Ottocento. 

Il sole dell'avvenire nella Romagna postrisorgimentale risplendeva grazie a una socialità e a un contropotere basati su una composizione di classe in parte frutto del dissolvimento dei modi di produzione precapistalistici, ma per altra parte ancora memore di culture popolari comunitarie. Oggi continuiamo a esser operai, impiegati, precari, lavoratori autonomi di seconda generazione, ma la nostra autorappresentazione e la nostra agency sono spesso scollegate dalle condizioni di disagio nel processo produttivo. Ci muoviamo principalmente sul terreno della circolazione assumendo identità molteplici e intersecate. Vista in positivo questa dinamica può essere per certi versi portatrice di libertà e di affrancamento dal legame personale. Tuttavia, svanite ormai le conformazioni sociali, produttive e urbane che sono state capaci di creare resistenza e contropotere fino in avanzata epoca fordista, il sole dell'avvenire per splendere ancora dovrà percorrere orbite nuove e inesplorate. 

(6 febbraio 2014)

domenica 9 marzo 2014

PSIUP Il Partito Provvisorio





La Societa´ Popolare di Mutuo Soccorso Giuseppe Garibaldi di Lucca
organizza per domenica 9 marzo 2014 ore 17,00 la presentazione del libro di Aldo Agosti "Il Partito Provvisorio" sul PSIUP.
Ne parleremo con i protagonisti lucchesi di quegli anni.A seguire cena sociale.

Sinossi del libro tratto da un
articolo di Angelo d´Orsi
da Liberazione

Lo storico Aldo Agosti ricostruisce la vicenda di chi cercò da sinistra di smarcarsi dall'egemonia comunista

La storia dei partiti politici, è una disciplina ibrida, per così dire, che si intreccia da un lato con la mera storia fattuale, con l’altro con quella delle idee politiche e in parte delle istituzioni: ma è una storia, per forza di cose, attenta alle biografie, nella loro interezza, ossia, in primo luogo, attenta alle vicende politiche, alla formazione intellettuale degli individui, ma alle caratteristiche anche psicologiche delle personalità, persino al loro aspetto, e ai loro tic. Se la storia – ossia gli eventi – nascono dalla varia combinazione dei tre fattori (contesto, scelte individuali, caso), è evidente che nella storia dei partiti questi tre elementi sono presenti con una particolare accentuazione forse proprio sugli individui, le loro decisioni, dietro le quali ci sono anche elementi caratteriali, e percezioni dei contesti che sono fortemente influenzate dalle situazioni. Nel libro di Aldo Agosti - Il partito provvisorio. Storia del Psiup nel lungo Sessantotto italiano, Laterza, pp. VIII-295, euro 25,00 - sfilano vari personaggi, protagonisti , deuteragonisti, comparse. Ciascuno con i suoi tratti caratteristici, che spesso l’autore affida a poche righe, ma sufficienti per inquadrare e cogliere i capi (Tullio Vecchietti e Dario Valori, essenzialmente), ma gli ideologi come Lelio Basso, Luciano Libertini, Vittorio Foa, Emilio Lussu, Luciano Della Mea, o ancora coloro che solo per un tratto furono parte del Psiup, i cui nomi si leggono con sorpresa, talora persino con un sentimento che assomiglia allo sgomento: Giuliano Amato, Fausto Bertinotti, Pietro Ichino, Sergio Chiamparino, ma anche Gianni Alasia, Pino Ferraris, Alberto Asor Rosa, Mario Giovana. In tal senso, anche in tal senso, il saggio di Agosti se da un canto è un triste déjà vu, dall’altro rappresenta una fonte di novità, scoperte, e riscoperte. Utile memorandum in un Paese senza memoria. Memorandum naturalmente per coloro che all’epoca erano in circolazione, ma mi chiedo che effetto possa fare invece la lettura su chi non c’era allora. Perché, in effetti, sembra di immergersi in un’epoca non solo lontanissima, a dispetto della vicinanza cronologica, ma addirittura senza tempo. A cominciare dalla sfilata di quegli uomini un po’ grigi, un po’ mesti, un po’ tanto prevedibili nei loro gesti, nelle loro parole, nelle loro tattiche e strategie. Eppure, quel piccolo “partito provvisorio” (la definizione fu di Gaetano Arfé, storico e militante del Psi, in occasione del II Congresso dei “psiuppini”), mai studiato finora (qui sta il merito di Agosti, in primo luogo), rappresentò una componente non irrilevante non solo della sinistra italiana, ma della intera vicenda storica del Dopoguerra, tra gli anni Sessanta e Settanta. Storia di persone, di idee, di organizzazione, sia pure minima, ma con una sua capillarità, stretta fra il tronco del partito rimasto sotto il controllo di Nenni, e i cugini comunisti. Certo, colpiscono i giudizi errati, le liquidazioni sommarie (si veda che cosa scrive Foa, davanti all’esito elettorale del 1963 che premiò il PCI inaspettatamente e punì le forze che avevano dato vita al centrosinistra, inedita e tutto sommata coraggiosa formula di governo, con tutti i suoi enormi limiti: che quelle elezioni avevano “seppellito tre metri sotto terra”; p. 46). Colpisce ricordare che larga parte del PCI fosse più “a destra” della sinistra socialista, la quale veniva invitata alla calma, proprio dalla Direzione comunista, mentre Nenni dialogava, o tentava di dialogare, con la DC fin dai tardi anni Cinquanta. Proprio le elezioni del ’63 furono un spartiacque: infatti dopo il Governo Fanfani (il vituperato Fanfani, sul cui primo governo di centrosinistra, con appoggio esterno dei socialisti, Agosti raccoglie il giudizio di Paul Ginsborg: “ottenne più risultati Fanfani in dodici mesi che Moro in tre anni”, il che dovrebbe anche indurci a una seria riflessione non agiografica su Moro, tra l’altro), l’accordo programmatico DC-PSI, frutto di una delle tante defatiganti trattative “morotee”, fu sconfessato dagli organi di comando del Partito socialista, per la radicale opposizione dei lombardiani, assai forti all’epoca. Il che condusse a uno dei tanti miseri esecutivi di transizione guidati da Leone, un governo monocolore DC. A distanza di decenni Foa riconobbe che fu un errore, come tante decisioni sue e di altri compagni: ma Agosti mette in luce che la sinistra non avrebbe potuto comunque accettare la clausola di esclusione del PCI, imposta dalla DC. Il frangente portò comunque la sinistra socialista all’isolamento nel partito. La scissione era ormai nell’aria, oltre che nei fatti e venne, puntuale, non al successivo Congresso (il XXXV, ottobre 1963), ma a seguito di esso. Lombardi non vi aderì, tuttavia, perché concordava con Nenni sull’importanza della collaborazione governativa con la DC. E tuttavia, leggendo le cronache ricostruite nel libro, non possiamo non cogliere nelle analisi di Tullio Vecchietti una lucida rappresentazione di uno scenario poi puntualmente verificatosi: l’ingresso al governo del PSI con la clausola di esclusione del PCI avrebbe portato a una drammatica, letale contrapposizione strutturale fra i due partiti storici della sinistra italiana (p. 47). Fu buon profeta: in fondo il craxismo nasce di qui, con la strategia del successore di Nenni al “riequilibrio” interno alla sinistra.
I risultati congressuali segnarono una drammatica cesura nel PSI. La scissione ne fu dunque il facile esito finale, che giunse puntuale, eppure non per “colpa” della sinistra, che in fondo cercò di non rompere: furono proprio gli “autonomisti” a volerla. E lo stesso PCI coerente con la linea pregressa, tentò di contribuire a evitarla, come del resto i sovietici. La scissione nondimeno si rivelò “un fenomeno più consistente di quel che molti si aspettino” (p. 55). A ll’inizio del ’64 gli iscritti sono oltre 117 mila, un paio di mesi dopo superano i 131 mila. Numerosi sono i quadri dirigenti, dai parlamentari ai sindaci, ai segretari di CdL e dirigenti sindacali (a cominciare da Foa, segretario generale dell CGIL). Non aderisce Raniero Panzieri, ma non pochi dei lettori dei Quaderni Rossi e suoi collaboratori. Anzi, come ricordano testimoni, nel PSIUP si respirava molta teoria forgiata proprio in quel laboratorio. Malgrado i tanti nomi intellettuali il PSIUP non fu una riedizione del Partito d’Azione! Eppure furono molti gli intellettuali nelle sue fila, e come gli azionisti i “psiuppini” erano degli “estremisti”. Tuttavia non si trattò di un partito intellettuale, ma di un vero partito proletario: di proletari urbani ma anche rurali, anzi secondo Agosti questo influì sulla linea “massimalista”del Partito. La questione dei finanziamenti è la più spinosa e l’autore l’affronta senza reticenze. Il Psiup soffrì di un assurdo gigantismo: il partito voleva, consapevolmente o meno, seguire il modello PSI-PCI senza averne la forza e i mezzi: inevitabile l’abbraccio con Mosca, donde discende anche la cambiale pagata nell’agosto ’68 con l’ambiguo allineamento sull’invasione della Cecoslovacchia, rispetto alla quale il giudizio comunista fu invece assai più critico. Agosti non nasconde nulla, anzi! Ma respinge le etichette in uso allora e ancora oggi spesso riprodotte di partito del KGB! Egli valorizza i distinguo in campo internazionale, per esempio sulla Cina, verso la quale i psiuppini furono assai più aperti dei comunisti, addirittura ponendosi come velleitario mediatore tra URSS e Cina; ma a un certo punto, quando il culto di Mao assunse proporzioni inquietanti, e l’animosità cinese verso l’URSS sembrò superare il livello di guardia, voltarono le spalle alla Repubblica Popolare Cinese; e non solo, come osserva giustamente Agosti, per la questione dei finanziamenti da Mosca. Del resto fecero analogo dietro front verso Cuba, quando Fidel e i suoi si posero in testa di esportare la rivoluzione. E là di finanziamenti non ce n’erano.Rimase, sempre, il PSIUP fedele a un rinnovato interesse di politica estera, anche se in modo incoerente, e sovente contraddittorio: ma, mi pare, meritevole fu la volontà di ritagliarsi uno spazio anzi proprio nel rilancio dell’internazionalismo proletario. Era in realtà uno strano eterogeneo miscuglio di intellettualismo ed estremismo, attento alle rivolte, alle jacqueries, diffidente, come solo sanno essere gli intellettuali verso ogni forma di elaborazione critica di tipo intellettuale. Dunque diffidenza verso Marcuse, verso Pasolini, letterato e cineasta, e disinteresse per Gramsci, probabilmente giudicato come troppo intrinseco al PCI: dal PCI occorreva smarcarsi, in effetti, per sopravvivere, ma era una gara allora improba. Eppure Mondo Nuovo, il settimanale del Partito, fu voce interessante e ricca nel panorama dei periodici della sinistra, con notevole spazio alla cultura (Agosti insiste sulle critiche cinematografiche di Adelio Ferrero, ad esempio). Sul ‘68 fu il PSIUP non solo più vicino, rispetto al PCI, ma assai intrinseco al movimento studentesco, cercando di esserne parte e guida. Del resto non pochi dirigenti della contestazione venivano da quelle file, o vi entrarono. Ma il ‘68 fu anche l’anno di Praga. E lì, come già accennato, emersero le contraddizioni, le incertezze, le ambiguità messe in luce da Agosti. Ma era sempre un gioco di equilibri, difficilissimo; tra Cina e Russia, tra PCI e PSI, tra intellettuali e masse (una quota non irrilevante ebbe proprio il PSIUP come riferimento negli anni fino al ‘68/70) , tra proletariato urbano e mondo rurale, tra Terzo Mondo e Europa. Il terzomondismo fu una delle caratteristiche anzi dei “psiuppini”; ma poi non mancarono i distinguo, e le prese di distanza. La mesta fine del Partito, nel ‘1972, dopo la catastrofe elettorale (sua ma della sinistra in generale) in un vortice di scissioni, confluenze, nuove separazioni, segnò il venir meno di un soggetto minore ma ricco di capacità di intercettare umori e sentimenti che né il PCI né il PSI furono in grado di cogliere tra la seconda metà dei Sessanta e l’inizio dei Settanta. Forse aveva ragione la dirigente del PCI Adriana Seroni quando, sprezzante, affermò che quelli del PSIUP portavano “lo spirito del frazionismo nelle ossa” (p. 278), ma si trattava di una liquidazione sommaria che ha avuto finora un riscontro storiografico, con una svalutazione radicale della funzione di quel “partito inopportuno” (la formula è dello stesso Agosti, che di quel partito fu militante). L’umiliazione dei dirigenti psiuppini da parte delle gerarchie comuniste trovano nel rapporto con Libertini il loro punto più alto (o basso), mostrando una notevole insensibilità politica, a cui in fondo questo libro pone un rimedio, sia pure sul piano storiografico. Certo, si trattò della storia di un fallimento, se vogliamo, ma anche per questa ragione appare, io credo, una storia di particolare interesse, da cui qualcosa, v’è da sperare, si potrebbe imparare per non ricadere nei vecchi schemi, e non rifare gli eterni errori. Ma è da temere che sia una speranza vana… Anche se non si può neppure accettare che il solo criterio da utilizzare in politica sia quello dell’efficacia e dunque del successo di una linea politica. Il PSIUP, partito provvisorio, fu uno dei tanti lieviti che fecondarono la società e la politica italiana del tempo. E tra le cose buone (poche) che sono rimaste in campo, qualche briciola discende anche di là.